l'architettura, cronache e storia
n. 474, aprile 1995
Da qualche anno si assiste ad un nuovo modo di operare sul territorio che privilegia la saturazione delle aree già edificate rispetto ad ulteriori ampliamenti dei perimetri urbani. Le ragioni sono ampiamente note e non vale la pena di riprenderle in questa sede. Tralasciando le attività di recupero e/o di restauro, quantitativamente in crescente espansione, la nuova edificazione riguarda in gran parte interventi di ampliamento, di edificazione di lotti residuali (le "aree interstiziali"), di rifunzionalizzazione di edifici preesistenti.
Il progettista si trova così a dover operare in contesti ben caratterizzati dalla presenza di altri edifici, sovente privi di qualsiasi qualità oggettiva, di qualsiasi carattere architettonico se si esclude quello di testimonianza di un'epoca storica di rapido sviluppo quantitativo e di scarso impegno progettuale.
Se lavorare in contesti difficili ma stimolanti dal punto di vista ambientale e architettonico può indurre ad emulare la qualità delle preesistenze — in termini di assonanza o di contrasto, adottando rispettivamente un linguaggio mimetico o forme totalmente nuove — in molti altri casi — in assenza totale di qualsiasi suggerimento ambientale — la strada da seguire non resta che quella di un atteggiamento di rottura secondo le indicazioni che nascono da una ricerca personale in continuo divenire.
Gli esempi che vengono qui illustrati appartengono a questo indirizzo culturale e ne documentano la vitalità.
L'autore è un giovane architetto bolognese, Andrea Trebbi, di cui ci si è già occupati in un numero precedente ("Ristrutturazione di una preesistenza a Casalecchio di Reno", L'a. n. 403) e per le stesse ragioni. Le sue opere si staccano dal panorama della recente produzione architettonica nell'area bolognese, indirizzata a perseguire — non senza episodi di buon livello — obiettivi di altra natura, finalizzati ad una continuità storica con il passato, proprio per la volontà di esprimere fino in fondo e senza compromessi forme, contenuti e tecnologie al passo con la migliore ricerca architettonica internazionale.
I1 progetto riguarda un edificio residenziale costituito da quattro unità abitative, di cui due — quelle con ingresso al primo piano — sviluppate su due livelli. Il contesto è quello di Casteldebole, un vasto insediamento residenziale sorto sul lato occidentale del fiume Reno a partire dalla metà degli anni '70 intorno ad un intervento di edilizia economica e popolare gestito dallo iacp di Bologna con edilizia convenzionata o privata. L'opera si dissocia dalle linee architettoniche del costruito, peraltro caratterizzato da una certa frammentarietà, e denuncia spregiudicatamente la propria nuova presenza, rinvigorita dall'ampia area antistante in proprietà che, individuata a verde dal p.r.g., esclude la realizzazione nell'immediato futuro di ulteriori insediamenti.
Alimentate dalla continua verifica del rapporto con l'esterno, valutato obiettivo prioritario in ragione delle favorevoli condizioni ambientali (il parco fluviale del Reno davanti e la vista della Basilica di S. Luca sul colle della Guardia in primo piano), le unità abitative identificano un contenitore abbondantemente ritagliato da vuoti volumetrici e da quinte sospese che contengono le proiezioni orizzontali dagli agenti atmosferici.
Alla forte articolazione dei volumi si sposa un attento taglio delle bucature, mai banali in quanto sempre frutto di una ricerca del rapporto tra lo spazio interno e le sue potenzialità esterne e del loro ruolo di vuoti relazionati ai pieni in cui vengono inseriti ed agli elementi plastici che lì proteggono.
Una unica patina di colore bianco — spalmata su intonaco di malta cementizia e su c.c.a. in opera — identico a quello dell'alluminio usato per i serramenti privi di componente esterna e i riflessi dei cristalli, tagliati in lastre indivise, costituiscono le sole ragioni cromatiche, opportunamente predisposte per lasciare campo libero, al rilievo volumetrico dell'organismo edilizio.
Le opere di Andrea Trebbi, lette in successione a partire dalla ristrutturazione di Casalecchio di Reno, rivelano una continuità di ricerca ed un impegno degni entrambi della massima attenzione. I riferimenti culturali — da Meier allo Stirlirig di Stoccarda — vengono assunti con discrezione e riproposti come spunti per un'invenzione formale del tutto personale che testimonia ad un tempo coerenza professionale e volontà di qualificazione dell'ambiente urbano con forme rigorose nella tecnica realizzativa quanto libere nell'immagine architettonica.
Anche a questo, come a tanti altri giovani valenti architetti, non resta che esprimere l'augurio di vederlo presto all'opera su tematiche di più ampio respiro con immutato impegno e la stessa chiarezza di idee.