andrea trebbi
Arch. Andrea Trebbi
luigi prestinenza puglisi

the plan
n. 24, marzo 2008

 

L'Intervento di Andrea Trebbi in via del Meloncello si colloca in un'area semiperiferica di Bologna dove, secondo il sadomasochista regolamento edilizio comunale, non era concesso intervenire sulle volumetrie esistenti. Neanche per trasformare una banale palazzina di edilizia speculativa in una lussuosa villa unifamiliare. A Trebbi non è restato quindi che lavorare di ingegno, togliendo all'edificio ogni carattere che ne poteva denotare le antiche funzioni. Via quindi i marcapiano in cemento e via il rivestimento in cortina grazie a una uniforme pittura bianca che esalta i pochi, ma non del tutto sgraziati, giochi volumetrici della preesistenza. Via la vista del domestico tetto a tegole grazie all'inserimento di un cornicione metallico.
Annullate le virtù piccolo borghesi della palazzina ed ottenuto un aspetto più raffinato ed astratto, Trebbi ha proseguito puntando su un miglior rapporto tra interno ed esterno. Ha sostituito gli infissi esistenti, realizzati in base al principio del minimo costo, con altri ad anta unica. E realizzato nuove bucature che sono servite a rendere più contemporaneo il prospetto e più ariosi gli spazi interni. Infatti se per un soggiorno di dimensioni contenute poteva bastare una finestra, per dare luce a un soggiorno dì oltre cento metri quadrati e su più livelli, occorrevano grandi aperture,
E' nell'interno, dove i diktat del regolamento edilizio sono più flessibili, che il progetto del nuovo spazio ha preso forma. Ciò è avvenuto mettendo in crisi la partizione per piani e così trasformandolo in un organismo unitario. Ed è qui che Trebbi ha mostrato di essere un progettista dotato, evitando l'errore che in questi casi si compie di frequente; realizzare stanzoni monumentali e fuori scala la cui misura umana è faticosamente recuperata solo attraverso qualche affaccio in doppia altezza. A questa strategia Trebbi ha contrapposto e con successo quella quasi centenaria e ancora oggi efficace del raumplan, cioè di un percorso continuo che lega in successione i nuclei dell'appartamento, anche di altezze differenti, sfalsati tra loro. A rendere più interessante il quale contribuiscono squarci che permettono di afferrare con lo sguardo brani della dinamica spaziale, ma senza mai dare la possibilità di ricostruirla per intero. La continuità del percorso, mettendo le attività in corretta sequenza, ha garantito, inoltre, il buon funzionamento dell'abitazione: dalla cucina si sale verso la sala da pranzo che è adiacente al soggiorno; questi sono a loro volta prossimi alla stanza per la ginnastica; vi è un ottimo collegamento tra zona giorno e zona notte, disposta su tre livelli in altrettanti nuclei autonomi. Viene da pensare alla Möbius House di UN Studio, anch'essa organizza su un continuum di funzioni. Ma con la differenza che Trebbi, per realizzare la propria, non ha sentito il bisogno di rifarsi alle scienze della complessità o alla geometria non euclidea, ma semplicemente a temi loosiani e, se vogliamo, le corbusieriani. In una residenza come questa in cui ad essere protagonista è lo spazio, le decorazioni non avrebbero che una funzione negativa, di disturbo. Da qui un certo minimalismo. A caratterizzare gli interni sono infatti il parquet scuro, la pittura chiara e i cristalli delle vetrate e dei parapetti. Unica parziale eccezione, e solo in alcune zone, i rivestimenti in sottili doghe che, però, non entrano in contrapposizione con il disegno d'insieme, ma semmai aiutano a scandirlo attraverso il loro pattern lineare. Sono una concessione al lusso della casa e, nello stesso tempo, un riferimento, metabolizzato e rielaborato, ai pattern geometrici di Richard Meier, un architetto che ha avuto una forte influenza sul lavoro di Trebbi.
Se nella palazzina di via del Meloncello è facile leggere la lezione di Loos, Le Corbuiser, Meier, nelle numerose altre opere dell'architetto bolognese non è difficile trovare citazioni puntuali anche ad altri maestri: alcuni appartenenti al filone razionalista del Movimento Moderno, altri a quello organico. Questo atteggiamento più inclusivista che esclusivista prescinde da eccessive preoccupazioni linguistiche. Nel senso che, da buon professionista, Trebbi è più attento alla realtà delle cose che alla originalità dei segni. Forse in base alla considerazione che il linguaggio della contemporaneità è stato già inventato e quindi non sì vede perché rimetterlo in discussione. E che una buona costruzione non nasce dall'ossessione della forma ma dalle risposte ai fini che si prefigge. E tra questi vi è il rispetto del programma funzionale, del budget a disposizione, della correttezza delle scelte costruttive nonché della riuscita organizzazione della dinamica degli spazi interni e del rapporto con il contesto urbano. Emblematico in tal senso è l'edificio realizzato tra il 2001 e il 2005 in via degli Orti a Bologna. Trovandosi ad operare in un lotto d'angolo, Trebbi ha risolto il nodo urbano di massima intensità spaziale -cioè l'incontro delle due strade - ponendovi il corpo scala della nuova costruzione. Per evidenziarlo plasticamente, ha fatto incontrare in basso i due muri ad angolo retto, mentre più in alto li ha raccordati, con un maggior effetto dinamico, mediante una superficie curva. Enucleato dal resto della costruzione, il corpo scala libera a sua volta quest'ultima dalla schiavitù di una distribuzione in linea di tipo tradizionale, permettendo ai singoli appartamenti di avere un miglior rapporto con lo spazio non costruito, e in primis con il verde che sta attorno. Inoltre la scala diventa - ed ecco che torna Le Corbusier - una promenade architecturale dalla quale godere dinamicamente l'edificio. Ciò è particolarmente vero per l'appartamento posto all'ultimo piano che può accedere alla terrazza in copertura tramite un'altra scala messa in successione: scala quest'ultima che, oltretutto, impone una decisa inclinata al relativo prospetto. Se in via degli Orti il sistema dei segni rimandava alla linea razionalista - insieme a Le Corbusier, vengono in mente Mendelsohn e anche Oud - nella residenza sanitaria "Eugenio Gruppioni", realizzata tra il 1997 e il 2003, a prevalere è quella organica. A giustificare la scelta è il contesto non urbano: il Parco Regionale Naturale dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell'Abbadessa, il comprensorio più incontaminato della zona collinare intorno a Bologna, E la destinazione funzionale: una residenza sanitaria assistenziale con annesso presidio riabilitativo e poliambulatorio. Non è difficile trovare riferimenti a Wright, ad Aalto e a Dudok. Ma all'interno di una costruzione con una propria originale spazialità dove particolarmente felice appare la scelta di lavorare sul tema di una corte che, chiusa al piano inferiore, si apre ai piani superiori, per ottenere una migliore integrazione con il paesaggio circostante. Riuscita è la scelta di giocare sul contrappunto di materiali diversi: mattone, intonaco, legno. A caratterizzare l'opera è, infine, la qualità dell'impianto planimetrico.
Nato nel 1954 e laureatosi nel 1979 a Firenze, Trebbi si è formato, infatti, nella convinzione che un buon progetto potesse nascere solo a partire da un minuzioso controllo della pianta. E' questa una certezza che condivide con alcuni professionisti della sua generazione, quali per esempio Paolo Luccioni. E che lo collega idealmente ad architetti della generazione precedente, come Enzo Zacchiroli, ai quali si sente legato. Professionisti che, insieme a Trebbi, sarebbe opportuno riscoprire. Se non altro per valutare positivamente la loro ostinazione nel realizzare buona architettura, in un contesto tradizionalista e ostile quale quello della provincia italiana. E, per di più, attraverso opere coraggiose realizzate senza l'appoggio di una critica la quale troppo spesso ha disprezzato il sano pragmatismo di questi capaci costruttori per farsi, invece, affascinare dalle chimere del bel disegno e della nostalgia disciplinare.