2016, the plan, "andrea trebbi 2006-2015 progetti e opere"
Una chiacchierata con Andrea Trebbi per parlare della sua architettura volge necessariamente da subito verso un discorso sul significato e il ruolo della disciplina architettonica, sul significato e il ruolo dell'essere architetto.
Fortemente radicato nel territorio bolognese e al tempo stesso aperto al mondo, curioso conoscitore delle altre realtà, Andrea è e si definisce un architetto di altri tempi, poco avvezzo a divulgare la propria immagine (diversamente da tanti tra gli architetti contemporanei), più concentrato nello sforzo e nell'impegno concreto del fare architettura, indagando e mettendo ogni volta alla prova le proprie capacità, cercando le risposte a tu per tu con il foglio, prendendosi profondamente cura del progetto.
Di ogni progetto.
Fare architettura è per Andrea Trebbi ricercare, tra tutte quelle possibili, la soluzione in grado di migliorare il contesto di partenza, di farlo progredire attraverso un segno di qualità, rifuggendo dall'auto celebrazione per inseguire un significato.
Perché "a ogni segno di progetto deve corrispondere un perché".
È quindi innanzitutto ricerca, una ricerca che passa attraverso la pratica dei concorsi, nei quali sente di avere la massima libertà di esplorazione della disciplina architettonica.
Da Bologna a Stoccolma passando per Brindisi, Torino, Bressanone - limitandoci a questo recente decennio -, i progetti di concorso rivelano l'attitudine all'indagine, la capacità di leggere i luoghi e di reinterpretarli, componendo assonanze e dissonanze progettuali.
Fare architettura è confronto, con il territorio e i suoi vincoli, con la committenza e le sue richieste: significa rapportarsi al cliente ascoltandone le esigenze, non necessariamente assecondandole ma sforzandosi di "tradurle" in buona architettura. In autonomia, senza tradire i propri principi.
È frequentazione assidua del cantiere, dove il disegno si fa concretezza, attraverso le mani e il lavoro delle maestranze.
È cura di ogni singolo dettaglio: lavorando soprattutto in ambito urbano nella realizzazione di abitazioni, il progetto risulta dall'incontro delle esigenze espresse dal contesto con l'invenzione dell'interno, pensato in ogni suo particolare.
Che si tratti di nuove realizzazioni o del recupero di edifici monumentali, di aree periferiche o del tessuto consolidato del centro storico urbano, la complessità del sito diviene ricchezza, fonte di soluzioni abitative ogni volta singolari, accomunate da un principio di armonia che parte dallo studio delle funzioni, dalla definizione degli spazi interni, dalla progettazione dei singoli arredi, trovando sintesi e compimento nell'architettura dell'edificio.
Un'architettura fatta prevalentemente di pieni, di solidi indagati e scavati, rifuggendo dal decorativismo figlio della dialettica pieno/vuoto.
È ricerca del bello, Andrea usa dire della sobrietà: la pulizia del segno architettonico e il colore bianco, il colore della purezza, sono presupposti per un incontro tra architettura e arte.
Arte e architettura sono fatte l'una per l'altra, la loro coesione produce bellezza.
È tensione verso un'ideale di ordine: quell'ordine specchio e sinonimo di qualità, troppo spesso lontano dalla nostra realtà e così percepibile invece a latitudini diverse dalla nostra.
Un ordine auspicabile anche a livello urbano, ricercato con grande passione nella dedizione al tema degli autoparcheggi, con l'obiettivo di risolvere la dicotomia città/automobile attraverso soluzioni che restituiscano alla città e ai suoi abitanti gli spazi loro sottratti dalle auto in sosta.
È vivere l'architettura intimamente, a 360 gradi, con la voglia di sporcarsi le mani, di mettersi in discussione, di trovarsi di notte con un'idea in testa, una matita tra le dita, un foglio da riempire.